L’anello di Poggio Roccheta nel Monte Ceresa

TracciatoIl tempo era incerto e preso da mille e una cosa il pomeriggio del 30 Aprile ero indeciso sul da farsi per il giorno seguente: 1° Maggio. Decido di sentire Luca il quale mi propone di fare un giro in montagna. Io suggerisco i Piani di Pao, ma l’altezza ed il dislivello non sono certo per un prima escursione dopo un lungo periodo di pausa. Luca mi dice di essere da tempo “affascinato da un paesaggio capace di far affiorare una labile traccia di una remota antropizzazione”; mi propone il Monte Ceresa 1.

Partiti di buon mattino, l’ottimo Andrea fine conoscitore delle zone montane, dosando bene freno e controsterzo ci permette di superare senza problemi l’impegnativo e fangoso tratturo che ci conduce prima a Tallacano e poi a Poggio Rocchetta2 luogo di partenza del nostro peregrinaggio.

Superato il modesto agglomerato poco dopo si prende il sentiero che scende verso il ruscello che è traccia della nostra escursione. Dopo alcuni minuti di cammino ciò che ci si dischiude di fronte è un paesaggio dove l’erosione dell’acqua ha plasmato delle particolari forme caratterizzate da bizzarre bolle ora concave ora convesse solcate da insenature e graffi lasciati delle ere che si sono succedute. Al termine ci aspetta un discreto balzo d’acqua, da sorpassare in due modi: cercando di sfruttare lo spazio nel dietro tra l’acqua e la parete rocciosa oppure di traversare banalmente il corso d’acqua poco dopo la cascata. Datomi una veloce coperta con l’impermeabile, scoprii che non era sufficiente per me e lo zaino, lo avrei dovuto bardare con la sua copertina, fissare e valicare le fresche acque che sgorgano dal Monte Ceresa, ma per non far aspettare gli altri già passati, optai per la via più scomoda ma più asciutta e proseguire il cammino3.

Dopo poco, la parete sempre sulla destra del viandante, si fa più tenera e scavata dalla naturale erosione e rientra all’interno per oltre 10 metri. Al di sotto di questa naturale insenatura si trovano le rovine di alcune strutture abitative adibite a ricovero per animali ed alloggio stagionale per pastori. Sospinti dalla curiosità, ci si addentra all’interno dell’enorme spelonca dai toni lattiginosi e sfumature verdi date dalla rigogliosa natura all’esterno; qui notiamo che le case avevano quasi tutte due piani ed i solai erano sostenuti da ondulati tronchi d’albero incastonati nei muri a secco tirati su pietra dopo pietra. Aggirandoci per le varie costruzioni ne scorgiamo una, alta non più di 3 metri, non ancora del tutto diroccata.

La passeggiata poi prosegue con brevi saliscendi, riempendo l’occhio del visitatore di suggestivi paesaggi non troppo pubblicizzati ma, come già detto, di sicuro fascino.

Il giro, inoltre, obbliga ad attraversare in vari punti il ruscello e, su di uno di questi, scorgiamo una tavola, più in la nel corso d’acqua, ci adoperiamo a recuperarla e quindi fissarla agli argini del ruscello. Con gesto di comoda galanteria, lascio l’onore e l’onere di collaudare il Calatrava d’occasione alla nostra amica. E’ il mio turno ma, dopo i primi centimetri il legno flette vistosamente provo, mi dico, ho i bastoncini ma il crack classico mi preannuncia il bagnetto. Fortuna volle che sprofondai sino al ginocchio ma senza rovinare completamente in acqua.

Tonificato e rinfrescato a dovere proseguo il mio cammino e nell’ultimo attraversamento, il più profondo del percorso… m’appiopparono la santità. Come un novello Battista digradai nelle cristalline acque e issatomi al centro mi offrii ai mie seguaci come santo baluardo per l’attraversamento. Provai perfino a dividere le acque… e se poi me ne pentivo?

Tralasciando le estatiche visioni, passate circa 2 ore, iniziamo una progressiva discesa che ci riporta al punto di partenza.

Sicuramente facile come difficoltà, vuoi per i soli 200 metri di dislivello e per la contenuta distanza da percorrere, presenta una specifica difficoltà in alcuni passaggi dove ci si vede impegnati ad oltrepassare lastricati di roccia umida a volte anche in prossimità di bruschi dislivelli che rendono caldamente sconsigliato scivolare. Segnalo, per completezza, che in alcune parti il tracciato è eroso dall’acqua e, sebbene di categoria (E), mi permetto di segnalarvelo come allenamento e/o primo esercizio che racchiude in se molte delle esperienze che si possono affrontare durante un trekking.

PS: Un ringraziamento particolare a FLU per la sapiente revisione della bozza e  le sublimi note.


  1. Luogo a lui caro posto tra l’incudine dei Sibillini ed il martello della Laga; poco frequentato, scarsamente abitato ma dotato del fascino delle voragini erose dal pianto eterno della terra e della bellezza che solo la silenziosa macerazione può possedere.
  2. Avvinghiato come Elcito su di un costone roccioso, il Poggio a differenza di quest’ultimo assiste ai fuochi sordi della sua implosione, avversata blandamente dalla frequentazione domenicale di una classe malinconicamente colta che intravede nelle vecchie crepe e nei nuovi stucchi il fascino della mummificazione di profumi ormai estinti.
  3. Mi spiace che questa nota diventi il palcoscenico di un dramma che si consuma lentamente tra gli spazi vuoti di tutte quelle parole che compongono questa critica, eppure non posso non esprimere il mio rammarico nei confronti di Rodolfo che ha scelto di seguire un cammino dove il suo battesimo con il Monte Ceresa è stato affidato ad una cerimonia che lo volle asciutto a capo chino accogliere torpidamente un rito; avrei preferito che tutto fosse avvenuto diversamente, affidato più all’ebbrezza del caso che non conosce ne ritualità ne cerimonie e che ti alimenta quella voglia di inzupparti da cima a fondo nell’entusiasmo di fondersi in quel magma che ribolle tra le foglie degli alberi e le rocce che rotolano nel fondo dei fiumi.


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