Primo post – la fine e l’inizio

JACK:?
???? Saper mettere un punto e andare a capo è uno dei segreti di ogni storia della vita. Se lo ritardi, la rovini; se l’anticipi, la bruci; e se lasci che sia l’altro a mettere il punto al posto tuo, vuol dire che tu eri già uscito dalla storia.
Gli addii non si annunziano, si compiono, e la loro violenza è inevitabile come quando si muore: la violenza del silenzio che seguirà.

Gli addii camuffati da arrivederci li considero le perfidie peggiori.
In realtà tagliano proprio le gambe ad ogni possibile ritorno, rassomigliano ai falsi addii delle marionette, quelle addestrate a recitare tutte le sere davanti a un pubblico diverso ma per loro indistinto e sempre uguale, eterni burattini che se ne vanno con nelle orecchie di legno gli applausi dell’ultimo “bis” che si confonderanno con quelli di benvenuto del prossimo paese dove domani sera replicheranno lo spettacolo.
Mettere un punto non è abbassare il sipario e nemmeno cambiare copione.
E’ semplicemente interrompere la recita e uscire di scena.
Non finire la battuta; osare, interromperla con un punto assurdo, e scontentare il pubblico, l’impresario e perfino te stesso, perché recitare il tuo ruolo ti piaceva, eccome se ti piaceva, era “come se”, come se quella di Jack fosse davvero la tua vita.
Ma vivere tutto come se è un danno. Lo conosco e me lo sono procurato cento volte. Ci sono coppie immobili, che per paura dell’abbandono, sono avvinghiate con il filo spinato del “come se”, come se… si amassero ancora.
Ci sono occasioni perdute sul lavoro, per il terrore di trasferirsi in un’altra città o semplicemente di cambiare azienda o mansioni o colleghi, in cui il come se è la scusa consolatoria a cui aggrapparsi per non mettersi a rischio. Le sirene della felicità, spesso, infondono più sgomento delle catene di un’esistenza mediocre.
Allora facciamo come se il nostro vecchio lavoro fosse ritornato appagante, come se l’invidia del collega fosse una carezza, come se lo stipendio non ci dispiaccia più e ci convinciamo che quella promozione sempre promessa e mai mantenuta, in fondo in fondo ci lascia più liberi di vivere. Ma non appena è passata la “minaccia” di un’offerta di lavoro migliore, la “iattura” del colpo di fortuna, o quella altrettanto pericolosa di un nuovo amore, allora ricominciamo a lamentarci, di nuovo come se non fossimo stati solo noi a perdere il treno, e malediciamo chiunque, dalle Ferrovie dello Stato, agli extracomunitari, al nostro stipendio di merda, moglie, suocera e cane del vicino che-quello-chi sa- che cazzo-gli mette- nel pappone-per farlo latrare apposta- alle tre di notte- e rovinarmi l’esistenza.

No, questa volta no, per favore. Questo fra me e te non deve succedere, fratello.
E noi finora siamo stati bravissimi, noi finora l’abbiamo evitato.
Avevamo tutti bisogno di un rapporto felice. Non so se un programma alla radio si possa definire così, ma so che il nostro era amore.
Io metto un punto, perché nessuno ce lo porti via.

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Anche se sono al primo blog questo qui sopra è il testo di una fine, la fine di Jack Folla c’è.

In questo breve testo si esprime un concetto, forse una grande verità, per cominciare una cosa bisogna chiuderne un’altra, e bisogna farlo “perché nessuno ce lo porti via”; ma allo stesso tempo occorre sbarazzarsi di un nostro comportamento, una nostra abitudine, una frquentazione che… smetto quando voglio, è invece proprio non ce la facciamo. E’ un po’ come mandarsi a quel paese, ecco per fare un cambiamento, anche uno piccolo, bisogna proprio mandarsi affanculo, ma farlo vermante e cambiare la parte “perché recitare il tuo ruolo ti piaceva”.

Ecco, con questo primo post vi auguro, di trovare il coraggio di buttare, abbandonare quel bagaglio che vi pesa e tutto sommato vi trattiene; per (s)viaggire meglio, per far posto altro, per cambiare.

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